Mar. Lug 16th, 2024

Una tracciabilità certificata dei fanghi prodotti dal ciclo di depurazione delle acque reflue. Potrebbe essere questa una soluzione all’incognita rappresentata dalla gestione di quello che è uno scarto di “lavorazione” derivante dalla depurazione delle acque reflue e che costituisce una delle criticità che da decenni caratterizzano il sistema di trattamento in Calabria.

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Non sono pochi infatti gli impianti che vanno in affanno proprio per via dell’accumulo dei fanghi, il cui costo di smaltimento incide sulle spese di gestione.

I dati calabresi non sono entusiasmanti, riporta la Gazzetta del Sud in edicola. Appena un mese fa il dipartimento Ambiente della Regione ha invitato i sindaci calabresi a fornire dettagliate informazioni sulla quantità prodotta dagli impianti, la composizione e le caratteristiche, compilando le apposite tabelle.

Quelle stesse tabelle pubblicate sul portale del dipartimento e che, però, non raccontano in maniera esemplare la storia degli ultimi anni, almeno a partire dal 2007. Aprendo lo spazio a scenari inquietanti, poiché diventa lecito chiedersi che fine facciano e da chi (e dove) vengano eventualmente smaltiti i fanghi che non vengono tracciati.

Le caselle di Catanzaro tra il 2007 e il 2010 sono a zero (tra il 2013 e il 2015 del tutto vuote). A Reggio Calabria i dati dei sei depuratori sono indicati a macchia di leopardo e in diversi casi l’ente spiega che i volumi di acqua trattati non sono effettivi. Emblematico il dato relativo a Cosenza tra il 2007 e il 2015: nessuna risposta. Su Crotone i numeri sono altalenanti: si passa da una produzione di fanghi nel 2009 e 2010 fra tremila tonnellate e quasi quattromila, che poi crolla a 562 nel 2011, anno in cui la metà viene avviata a impianti di compostaggio. A Vibo, i dati in tabella dei tre impianti risultano presenti solo nel 2015 (forniti dal Consorzio di sviluppo industriale), con l’invio dei fanghi negli impianti di compostaggio.

Francesco Ranieri-gazzettadelsud.it

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