Tutti colpevoli per l’agguato al Torrente Gallico, quando la sera del 16 marzo 2018 fu uccisa l’innocente Fortunata Fortugno e fu ferito Demetrio Logiudice, e per aver determinato una parentesi di fibrillazioni criminali consumate nel quartiere Gallico negli ultimi anni. La sentenza pronunciata ieri sera dal gup Giovanna Sergi ha punito Paolo Chindemi a 20 anni di reclusione; Mario Chindemi (collabroatore di giustizia) a 14 anni; Ettore Bilardi a 15 anni e 4 mesi; Santo Pellegrino a 12 anni e 4 mesi; Pietro Pellicanò a 14 anni e 8 mesi.
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Alle pene principali hanno fatto seguito numerose pene accessorie quali tra anni di libertà vigilata una volta scontata la pena, l’interdizione dai pubblici uffici e il risarcimento delle numerose parti civili da quantificarsi poi in separata sede.
Dunque, ha retto in pieno il castello accusatorio costruito dai pm antimafia con prove che hanno retto benissimo anche al vaglio dell’Aula davanti al giudice per l’udienza preliminare, che ha definito il primo grado di giudizio con il rito abbreviato. I Pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia, Stefano Musolino e Diego Capece Minutoli hanno rappresentato l’accusa nel processo “De Bello Gallico” ed avevano avanzato richieste di condanna molto pesanti tenuto conto della diminuzione per la scelta del rito: Paolo Chindemi, 30 anni di reclusione; Ettore Bilardi, 18 anni; Santo Pellegrino, 14 anni; Pietro Pellicanò, 12 anni; Mario Chindemi, 10 anni con le attenuanti della collaborazione con la giustizia. Esclusa la premeditazione a carico di chi risponde dell’omicidio della donna, che si era appartata in auto con l’amante, pagando con la vita l’essersi trovata al posto sbagliato al momento sbagliato.
Il processo “De Bello Gallico”, dal nome dell’operazione in due tranche condotta dai poliziotti della Squadra Mobile, ruota attorno – incastrandosi perfettamente con l’ipotesi di reato più grave che è l’omicidio-tentato omicidio – ai recenti episodi criminali consumati dal cosiddetto gruppo Chindemi, animato da propositi di vendetta dopo l’uccisione del loro capo, Giuseppe Chindemi (padre di Paolo Chindemi e fratello del collaboratore di giustizia, Mario Chindemi).
Dalla ricostruzione eseguita dagli inquirenti, poi confermata dalle dichiarazioni del pentito che ha “saltato il fosso” proprio subito dopo l’arresto per questa indagine, il clan entrava in azione, armato, per commettere danneggiamenti, furti, spari, intimidazioni, ritorsioni, «allo scopo di di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa» che aveva il dichiarato obiettivo di impadronirsi della “locale” di Gallico sbaragliando, anche con prove di forza e spedizioni armate, delle altre anime di ‘ndrangheta che puntavano alla medesima leadership criminale.
fonte gazzetta del sud
SERVIZIO DI MARIA TERESA CRINITI