Mar. Lug 16th, 2024

«Siamo tutti sulla stessa barca!», ci aveva ricordato Papa Francesco esattamente tre anni fa,
all’inizio della fase più acuta della pandemia, quella delle reclusioni forzate nelle nostre case. Ma la
minaccia di morte che per quasi due anni ha tenuto in ostaggio l’Occidente globale del “libero
mercato”, non sembra aver insegnato nulla a chi, quel mondo, avrebbe la responsabilità di
governare nel segno del bene comune.
La tragedia avvenuta al largo delle coste calabresi dopo lo spezzarsi di un peschereccio con a bordo
duecentocinquanta migranti – naufragio il cui bilancio delle vittime si aggrava man mano che i
soccorritori recuperano i corpi – ci dice che quella barca che dovrebbe farci sentire con-sorti,
accomunati da una simile sorte, resta per ora una speranza: il mondo continua a essere diviso in
transatlantici e zattere, benestanti e disperati, sommersi e salvati, stanziali e migranti per forza. Sì
perché bisognerebbe smetterla di chiamarle migrazioni: sono deportazioni indotte!
Nessuno lascia di sua spontanea volontà gli affetti, la casa, la terra affrontando viaggi rischiosi, in
mano a organizzazioni criminali e in balia degli eventi atmosferici: freddo, tempeste, siccità. Lo fa
solo perché costretto da un sistema economico intrinsecamente violento, sistema che colonizza,
sfrutta e impoverisce vaste regioni del mondo. Lo fa perché l’Occidente globalizzato, in nome
dell’idolo profitto, gli fa terra bruciata attorno offrendogli in alternativa sfruttamento se non
schiavitù.
Ecco allora le “carrette del mare” alla mercé delle tempeste, ecco il Mediterraneo trasformato in un
immenso cimitero marino, ecco i morti assiderati sui passi montani o asfissiati dentro i rimorchi dei
Tir… Ed ecco la silenziosa carneficina che si sta consumando da almeno trent’anni sotto gli occhi di
un ricco Occidente che finge di non vedere e che, quando non può farlo perché le dimensioni della
tragedia lo impedisce, si palleggia responsabilità per poi tornare, passato il clamore, alla sola
attività che sembra davvero interessarlo: il conflitto per la gestione del potere. Gestione dalla quale
sono derivate distinzioni ipocrite, disoneste, come quella tra “profugo” e “migrante economico” –
come se la ferita economica e quella bellica avessero una diversa radice – o espressioni disumane
come «carico residuale», dove l’essere umano è equiparato una volta per tutte a merce, a valore di
scambio.
Libera associazioni, nomi e numeri contro le mafie APS
Coordinamento regionale Libera Calabria
calabria@libera.it; liberacalabria@pec.it
Per fermare le deportazioni indotte chiamate “migrazioni” non basta allora stabilire accordi
economici con Paesi di provenienza il più delle volte complici o addirittura agenti della logica di
sfruttamento occidentale. Occorre ripartire dalla “Dichiarazione Universale dei Diritti umani” scritta
dopo l’ultima guerra mondiale proprio con l’intento di archiviare una stagione di violenza, dolore,
barbarie. Occorre ripartire dal valore inviolabile della persona, dal suo diritto a una vita dignitosa,
libera e anche liberamente nomade: nomadismo del sentirsi dovunque a casa su una Terra dove
abbiamo davvero imparato tutti a sentirci e ad agire come passeggeri di un’unica barca che procede
verso il bene comune, a cominciare da quello di chi, ancora naufrago, chiede di essere accolto e
riconosciuto come persona. Ma occorre, innanzitutto, imparare a riconoscere l’“altro” non solo
davanti a noi ma anche dentro di noi. Altro che ci parla attraverso la voce della coscienza che, per
chi ha fede, è parola che mette in dialogo con Dio, con la sua incoraggiante ma impegnativa Parola.
Parola che ci insegna che il male non è solo di chi lo commette, ma anche di chi non fa nulla per
impedirlo.
Indifferente, inerte, e proprio per questo complice.
d. Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele

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