Boom schermi connessi, in arrivo legge sulle piattaforme
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Negli ultimi cinque anni si è assistito a un boom degli schermi connessi in Italia, che sono passati da 70 a oltre 93 milioni su un totale di circa 120 milioni grazie soprattutto alla Smart TV, cresciuta del 210% da 5 milioni ad oltre 18 milioni di apparecchi.
Un’esplosione che è andata avanti di pari passo con quella delle grandi piattaforme che schiacciano i piccoli player nazionali, mettendo fortemente a rischio la democrazia digitale.
E’ quanto emerso dalla Relazione Annuale dell’Auditel in Parlamento, dove il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha annunciato che il governo presenterà una proposta di legge per garantire la trasparenza di dati e strategie usati dai grandi attori del mercato. “Serve una regolazione più in sintonia con le nuove frontiere della tecnologia per garantire una vera libertà di scelta agli utenti e per questo serve trasparenza nelle metodologie usate dalle aziende”, ha detto. Un intervento richiesto da più parti per tutelare le imprese nazionali, di fronte a uno scenario che – come evidenziato nella relazione dal presidente di Auditel Andrea Imperiali – “si è fatto ad un tempo più complicato e, se possibile, ancora più agguerrito”. Il rialzo dei tassi di interesse, lo stop alla corsa agli abbonamenti e il ribasso delle quotazioni in borsa hanno costretto gli OTT a un drastico taglio alla produzione di contenuti originali (meno 40% nel 2022 rispetto al 2019) e alla stretta nella condivisione delle password per i contenuti. Con una certezza che non cade: “La tv in streaming, pur tra contraccolpi e svolte, continua la marcia per egemonizzare il mercato”, con “una ulteriore concentrazione e di uno strapotere di chi, controllando già browser, server pubblicitari e sistemi operativi, può alterare di fatto le regole del mercato”.
E’ quanto sembra emergere dall’indagine avviata dall’Ue nei confronti del cosiddetto Jedi Blue, un presunto patto tra Google e Meta, che possono già contare su una market share pari a oltre il 70% della spesa digitale globale, per limitare ulteriormente la concorrenza. Un “quadro allarmante” che mette a rischio la democrazia digitale.