di SANTO STRATI – Comincia un altro difficile anno, con le fosche nubi di un contagio che appare irrefrenabile, anche se, grazie al
cielo, i decessi sono limitati rispetto ai numeri che abbiamo patito nel 2020. Ma non sarà la pandemia al centro dell’attenzione e del
dibattito politico. È l’anno del nuovo inquilino (o resta il vecchio?) del Quirinale e questo scenario sovrasta su tutto, persino
sull’emergenza. Chi sarà il futuro presidente? La particolarità del momento tra pandemia e affannoso impegno per inseguire la ripresa
non lascia spazio a grandi colpi di scena e i calabresi, come il resto dell’Italia, che ieri sera aspettavano un segnale di disponibilità da
parte del presidente uscente non sono rimasti delusi, bensì si ritrovano ancor più confusi dall’incapacità della politica di trovare un
punto d’incontro per una scelta condivisa. La politica, quella che stiamo vivendo in questi anni fa rimpiangere i grandi personaggi che,
tra chiaro e scuro, hanno lasciato un segno tangibile di cosa significava autorevolezza, capacità di essere leader, visione ampia e
consapevolezza del ruolo. Le tristi ombre degli attuali comprimari della politica sono lontani anni luce dai protagonisti della prima
repubblica, ma soprattutto dimostrano l’assoluta incapacità di accettare la sfida della politica, quella nobile che appassiona il popolo e fa
crescere il Paese. E sottolinea l’insignificante pochezza di quelli che non sono stati in grado di formarsi, con umiltà, studiando il passato,
analizzando il presente, immaginando il futuro. Tutto ciò – è sotto gli occhi di tutti – non c’è, non ci sono protagonisti, salvo
piccolissime eccezioni e gli italiani sono sfiduciati e avviliti da questa non-politica.
In questo quadro sconfortante difficile individuare scelte condivise per il nuovo presidente della Repubblica. Già è facile prevedere uno
scontro fra le parti (e i partiti) del quale gli italiani farebbero volentieri a meno, visto che le posizioni per una candidatura non divisiva
appaiono ingestibili. La soluzione più pratica e più efficace ci sarebbe: un Mattarella-bis che mantenga lo status quo del governo a guida
Draghi fino alla naturale fine della legislatura (maggio 2023). Ma è una soluzione talmente semplice che non trova spazio tra i politici
che affermano con finta convinzione che Mattarella ha detto chiaramente che non vuole un secondo mandato. Ma secondo voi, ammesso
che Mattarella, nel suo ammirevole aplomb, avesse in cuor suo una pur piccolissima idea di accettare un bis in nome della stabilità
irrinunciabile visto il momento difficilissimo della pandemia, lo verrebbe a dire a tutti prima della convocazione elettorale per il
Quirinale? Conoscendo il personaggio, la sua naturale modestia, neanche sotto tortura direbbe in anticipo «accetto per amor di patria».
Nè tanto meno non poteva non dare il suo commiato agli italiani nel messaggio di ieri sera, lasciando intendere che ha già pronte le
valigie… Del resto, ricordiamolo bene che al Quirinale non ci si candida, ma si viene candidati.
Il momento, però, è terribile: è a rischio la tenuta del Governo (se Draghi dovesse diventare Capo dello Stato) perché verrebbe meno il
collante che l’ex presidente Bce sa esercitare e che ha mostrato di saper utilizzare. Ma Draghi ha chiesto di diventare Presidente della
Repubblica? Ad ascoltare bene le sue parole nella conferenza di fine anno, solo i più maliziosi (o in malafede) sono riusciti a leggere
questo desiderio che, al momento appare più facilmente procrastinabile a fine mandato, a fine legislatura. Senza contare l’inghippo
istituzionale che si andrebbe a verificare con uno spostamento di Palazzo. Draghi sta svolgendo più che egregiamente il suo compito,
gode della stima incondizionata di tutto il mondo e ha più “nemici” tra i banchi della sua maggioranza che nel resto dell’opposizione
Continua....
(quella modesta e inoffensiva di Giorgia Meloni e quella quotidiana e perfida di Marco Travaglio). Però, può completare il mandato e
aspirare, legittimamente, a chiudere la sua “carriera” al vertice al Paese, senza potere politico, ma con l’onore straordinario del ruolo di
Capo dello Stato.
Quindi, la soluzione più naturale sarebbe una preghiera corale (unitaria) delle Camere e dei grandi elettori a Mattarella ad accettare un
secondo mandato, che sarebbe comunque a tempo: al rinnovo del Parlamento con le Camere stravolte dal referendum che ha ridotto i
loro componenti, sembrerebbe il minimo che il Presidente eletto da una maggioranza ben diversa (anche numericamente) da quella
nuova rassegnasse le dimissioni, affidando alle nuove (striminzite) Camere l’onere di eleggere un nuovo Capo dello Stato. E questo
suggerimento (o auspicio) vale sia per Mattarella che per chiunque vada al Quirinale. Si dirà: non è la prima volta che il Presidente in
carica sia espressione di una maggioranza che magari non c’è più, ma in questo caso c’è una composizione nuova (e decisamente
anomala, ma votata per legge) del Parlamento e i numeri non sarebbero più gli stessi in ogni caso.
E fin qui abbiamo parlato di status quo, ma c’è l’incognita Berlusconi che spareggia la “soluzione semplice” del bis. L’ex cavaliere sogna
di diventare presidente e i suoi non fanno altro che sostenere l’impossibile desiderio, facendo i conti sui franchi tiratori (a favore) ma
trascurando quelli del fuoco amico. Berlusconi è un personaggio che, al di là delle ingiustificabili e inappropriate “attività personali” (per
le quali non c’è assoluzione alcuna, moralmente parlando), ha lasciato un segno profondo negli ultimi trent’anni. Voler percorrere a tutti
i costi l’elezione quirinalizia nasconde un rischio gigantesco che, a ben vedere, Berlusconi dovrebbe evitare di correre. Una bocciatura
alla quarta votazione (dove basta la maggioranza semplice, che comunque non avrebbe) decreterebbe non solo la sua fine politica ma
soprattutto cancellerebbe completamente anche quel poco, pochissimo?, di buono che ha seminato durante i suoi governi. Una
bocciatura equivarrebbe a una macchia insopportabile per un uomo di 85 anni che ha sempre mostrato di avere il vizio di vincere (pur
con qualche indigesta sconfitta). E allora? Dovrebbe dare ascolto ai suoi veri amici (pochi per la verità) e rinunciare facendo però la
mossa vincente che lo riconsegnerebbe agli altari della gloria (?) politica. La sua rinuncia in cambio di una designazione che nessuno
potrebbe mai contestare e che Berlusconi potrebbe agevolmente intestarsi. Chi è, nell’attuale scenario della politica italiana, il
personaggio che trasversalmente gode dell’incondizionata stima di destra, sinistra, centro? È Gianni Letta, il Richelieu della politica
italiana, gran conoscitore della macchina dello Stato, personalità di specchiata onestà, figura emblematica e rappresentativa, al meglio,
del popolo italiano.
Berlusconi avrebbe delle ottime motivazioni per rinunciare, a partire dall’età e dalla salute da qualche tempo alquanto precaria, quindi
una rinuncia per “motivi di salute” non sarebbe una resa. Anzi lo aiuterebbe a ricostruirsi (si fa per dire) la reputazione perduta per la
scappatelle sessuali. E la designazione del suo “delfino” potrebbe trovare una convergenza unitaria già alla prima “chiama” del voto
quirinalizio. Anche Letta ha un’età (86 anni) e il suo mandato non a termine, troverebbe comunque una corretta fine dopo l’elezione del
nuovo Parlamento “ridotto” che potrebbe eleggere il nuovo Presidente (Draghi?). All’attuale premier converrebbe completare il mandato
fino a fine legislatura. Ne guadagnerebbero gli italiani, gli sarebbe grato il Paese. E sarebbe il candidato insostituibile per la Presidenza
del dopo elezioni del 2023. Non è fantascienza politica, ma un semplice ragionamento che molti italiani, crediamo, potrebbero
condividere. Ma in Italia, si sa, le soluzioni pratiche sono evitate come la peste e l’«ufficio complicazione affari semplici» (Ucas) non va
mai in ferie. Buon anno a tutti. (s)