Ven. Nov 22nd, 2024

«Lo Stonewall Inn, ai civici 51 e 53 di Christopher Street, gestito dalla mafia, era un posto sicuro che gonfiava le tasche di Tony Lauria detto “Fat”, figlio del boss Ernie. Come gli altri, anche questo bar era regolarmente soggetto a retate della polizia. Primo perché era un locale gay, secondo perché serviva alcol pur non avendo la licenza. Le retate di solito erano precedute da soffiate: poliziotti corrotti e lautamente pagati avvisavano i proprietari in modo da limitare i danni. Tutti i raid si assomigliavano: le luci in sala lampeggiavano per metterci in allarme, noi smettevamo di ballare, ci staccavamo e aspettavamo la polizia, sperando che andasse via presto. Era un postaccio, ma era anche l’unico locale in cui potessimo ballare. In qualche modo eravamo grati alla mafia per quel poco che avevamo». In un’intervista al Venerdì di Repubblica, Martin Boyce, oggi 71enne attivista gay, cliente regolare dello storico Stonewall Inn di New York che partecipò ai moti di rivolta LGBT contro la polizia esattamente 50 anni fa, riconosce il merito a Cosa Nostra di aver dato vita ai primi locali per omosessuali. Klaus Davi ha postato il pezzo sul proprio profilo Twitter, criticando le dichiarazioni dell’attivista gay statunitense: “Cosa nostra non era e non è una benefattrice ma solo una sfruttatrice. In America sanno bene come trattava gli omosessuali al proprio interno: facendoli sparire… Essere loro ‘grati’ mi sembra troppo. Proprio a New York, John D’Amato fu fatto sparire perché gay, per mano mafiosa. In Italia la ‘ndrangheta fece uccidere a Goia Tauro Ferdinando Caristena e l’elenco potrebbe essere lunghissimo… per favore non parliamo di gratitudine”, ha affermato il giornalista, capogruppo della minoranza al Consiglio Comunale di San Luca.

Continua....


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