Mar. Lug 16th, 2024

 

Il tempo, la memoria, il consumo dello sguardo nel grande sistema dei media. “No News, Good News”, la nuova mostra personale di Gianluigi Colin inaugurata ieri pomeriggio al Museo Marca ieri pomeriggio, è un potente viaggio tra cronaca ed epica, tasselli di un mosaico epocale che ripercorrono eventi, fatti, parole, segni, immagini del nostro tempo, scardinandoli e restituendo un nuovo linguaggio contemporaneo.

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Incastonata nella X Edizione di “Settembre al Parco – Naturart” – la manifestazione organizzata dall’Amministrazione provinciale di Catanzaro al Parco della Biodiversità, nella sezione “L’Occhio del Parco”, la mostra (realizzata in collaborazione con l’Amministrazione provinciale, la Fondazione Rocco Guglielmo e la M77 Gallery di Milano) è stata presentata al pubblico nel corso di una conferenza stampa alla quale hanno preso parte, oltre all’artista, e al curatore Arturo Carlo Quintavalle, il presidente della Provincia Enzo Bruno, il presidente della Fondazione Guglielmo e direttore artistico del Marca, Rocco Guglielmo; la direttrice del Parco e dirigente provinciale, Rosetta Alberto.

 

Al Marca resteranno esposte fino al 30 ottobre un centinaio di opere di

Colin: gli ultimi trent’anni della ricerca di Colin – un po’ giornalista un po’ artista – dedicati alla riflessione sul sistema dei media, da sempre nucleo centrale del suo lavoro. Colin, infatti, è stato per molti anni art director del “Corriere della Sera”, ha scritto saggi e articoli sulla fotografia e sulla comunicazione visiva e conduce da molti anni una ricerca artistica intorno al dialogo tra le immagini e le parole. Il suo lavoro nasce come investigazione sul passato, sul senso della rappresentazione, sulla stratificazione dello sguardo. Il curatore della mostra, Carlo Quintavalle, lo paragona quasi a Dottor Jekyll e Mister Hyde per il suo modo di “fare il giornale di giorno e di disfarlo, da artista, di sera”. Mentre Colin, intellettuale in continua evoluzione soprattutto nella parte della sua introspezione creativa, suggerisce che “l’arte non dà risposte ma fa domande”.

 

Il presidente della Provincia, Enzo Bruno, ha voluto ringraziare il direttore artistico Guglielmo per l’ennesimo importante appuntamento con l’arte contemporanea che ancora una volta rende protagonista il museo di proprietà Amministrazione, proiettando Catanzaro nel panorama artistico internazionale. Bruno torna sulla convinzione di dover puntare su cultura, arte e università, che significa anche turismo destagionalizzato, per il rilancio e la rivitalizzazione del Capoluogo di regione, e quindi la necessità di valorizzare in maniera la scelta dell’Ente intermedio di dare vita alla rete museale come strumento concreto per realizzare questo obiettivo. Nell’anticipare le convocazione di una conferenza stampa per fare il punto sulla riuscita collaborazione tra Provincia e Fondazione Guglielmo che ha consentito al Marca non solo di restare aperto ma di proseguire lungo il percorso dell’eccellenza artistica internazionale, Bruno ha voluto puntualizzare che: “Nel corso di questi 18 mesi sono state realizzate sette mostre nel piano nobile e due nella sezione degli artisti locali, oltre che per le miriadi di eventi collaterali per cui la Provincia ha speso solo le risorse necessarie alla manutenzione ordinaria, mentre la Fondazione ha investito circa 40 mila euro, investendo sui rapporti con le prestigiose Gallerie con cui collabora. Un prestigio e una qualità che ha consentito di ottenere il finanziamento di 120 mila euro per una sola delle mostre esposte in questo periodo. Una puntualizzazione dovuta che potremo approfondire nel corso della prossima conferenza stampa”. La mostra di Colin, di fatto, apre la stagione autunnale del Marca, ha spiegato Rocco Guglielmo che si è soffermato su alcuni aspetti del lavoro in mostra “colto e raffinato”.

 

Colin trae le sue immagini da riproduzioni fotografiche. Le fonti non sono però, come nella Pop Art, le pubblicità di prodotti attraenti o le celebrità, ma piuttosto le immagini fluide, in continua trasformazione, del mondo digitale del fotogiornalismo contemporaneo. Il suo non è il mondo statico e artificiale della pubblicità e del marketing. È il flusso più inquietante delle immagini, forti e spesso contraddittorie, fornite dalla coscienza globale delle tecnologie avanzate di comunicazione, che trasmette costantemente informazioni a una velocità sempre maggiore. Gianluigi Colin si muove come un archeologo del

presente: attinge dalle fotografie di cronaca, dalle pagine dei giornali, dai frammenti marginali dell’informazione, dagli scarti della produzione tipografica, riproponendo una visione del tutto inaspettata e sorprendente. Da un lato, legato alla lezione di Rauschenberg, Colin effettua continui rimandi tra le pagine dei giornali internazionali, alla ricerca di “scorci” esemplari”. Dall’altro lato, fedele alla sua cifra stilistica, interviene su quel materiale, manipolando le carte e alterando rapporti e aspetti formali.

Nella pratica, Gianluigi Colin dapprima sfoglia i quotidiani, poi preleva pagine su cui appaiono immagini “rivelatrici”, accartoccia quei fogli con un gesto di intolleranza morale, fotografa questi “stropicciamenti”, stampa il file su carta di giornale, che viene appiccicata su un letto fatto a sua volta di sedimentazioni di carte di giornali, infine, con impeto, interviene con le mani su questo materiale con ulteriori piegature. Nascono, così, le sue opere, simili a tessuti increspati, a relitti di un naufragio o a reliquie di memorie sfrangiate, oramai lontanissime. Come hanno spiegato, in particolare Guglielmo e Quintavalle, nel percorso della mostra Colin compie un lavoro di messa a nudo della macchina narrativa e quindi della

rappresentazione: propone, in una sorta di confronto, l’immagine guida (l’immagine mitica) e, contemporaneamente, un riferimento compositivo e insieme tematico di grande impatto ed evidenza. In qualche caso siamo davanti a un’enunciazione simbolica, a un accostamento fra due immagini che vogliono dire insieme rifiuto, protesta, scandalo, vergogna, accusa.

In altri casi, invece, ci troviamo davanti a uno scavo nella memoria della sostanza delle immagini, della loro vera matrice, della loro storia depositatasi dentro di noi, nel tempo.

Una mostra per riflettere, quindi, sull’assedio di immagine e parole nelle quali ci perdiamo che diventa una riflessione sul senso del tempo.

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