È il giorno della Varia, patrimonio immateriale dell’umanità Unesco. Ad accogliere le migliaia di persone accorse da ogni dove per assistere alla corsa dell’enorme carro allegorico la meravigliosa vista di uno sterminato mare scintillante sotto i riflessi del sole.
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La macchina organizzativa è sempre più rodata: parcheggi nella zona alta della città, forze dell’ordine, polizia locale, medici del 118 e volontari disposti strategicamente regolano l’affluenza. Coccarde, striscioni e bandierine rendono ancora più belle le vie del centro e della periferia. Il “leone” maestoso del monte Sant’Elia è sempre disteso, lussureggiante e sonnacchioso sorveglia dall’alto; persino il canto spasmodico delle cicale, nascoste tra gli uliveti che precedono le strade del centro urbano sembra acclamare la ricorrenza. Una lenta processione avanza verso piazza Primo Maggio, tra bottigliette d’acqua e sudore. In tanti, tra gli emigrati, come accade quando c’è la Varia, hanno prolungato le ferie, rinviando la partenza, il rientro nelle rispettive città del Nord che li hanno accolti tanti anni or sono.
In centro, il traffico è interdetto e la città riscopre il fascino perduto degli anni in bianco e nero. Gli angoli della grande piazza sfoggiano i sontuosi stendardi delle corporazioni, da qualche settimana il clima è simile a quello della splendida Siena. Il suono dei tamburi riempie l’aria, la gente confluisce in piazza da ogni traversa, e inizia a prendere posto: oltre 20mila probabilmente le presenze. Sfilano cantando i ragazzi delle cinque contrade: marinai, artigiani, carrettieri, bovari, contadini. Giovani che cantano, saltellano, poi si abbracciano in un arcobaleno di colori e sorrisi. Scandiscono motti e ritornelli e infine corrono insieme. Poi è la volta dei vari personaggi: i discepoli, il Padreterno con il globo in mano, l’Animella sulla portantina. Drappi damascati brillano esposti ai balconi, la folla è in trepida attesa dello sparo di cannone
All’improvviso uno sparo e la macchina votiva “scasa”. Ore 19.05, la Varia inizia a “volare” lungo le “ciappe” di corso Garibaldi, la snervante attesa di migliaia di anime si trasforma in tripudio. L’Animella, la piccola Maria Pia Caminiti, è bella e dolcissima, non ha paura. Benedice con il segno delle mani i fedeli, le strade, gli angoli della città, la piazza principale. Tutt’intorno è un’ovazione, dai piani più alti la gente tende le braccia, l’incoraggia; sotto la folla è stipata, gli sguardi impietriti. Ora la terra trema e il cielo si dà fuoco. Ancora una volta sono tutti con il viso rivolto all’insù, il fiato è sospeso. I duecento ‘mbuttaturi spingono, sudano, urlano. Soffrono, uniti si danno forza l’un l’altro. Tirano le possenti corde, le mani bruciano. Scintille e puzza di bruciato. Un po’ più in alto candide bimbe salutano sventolando bandierine. Ancora sopra, il manto rosso del Padreterno, Francesco Fraccalvieri, avvolge l’Animella. La staffa oscilla, si vede il mare. Dai balconi le donne mandano baci, gli uomini urlano parole di coraggio. Girano i raggi del sole, quelli della luna, il globo terrestre: vorticosamente in armonia con il creato esorcizzando paure, esaltando gioie, generando commozione. Il grande carro si farà largo squarciando montagne di emozioni contrastanti. L’affaccio è sempre più vicino. Che meraviglia! Una distesa illimitata di mare azzurro e cielo. Il carro si ferma, poi torna indietro: la piazza esplode in un lungo e fragoroso applauso. La scala dei Vigili del Fuoco raggiunge la cima tra migliaia di braccia tese. Maria Pia scende e viene portata in trionfo, poi il Padreterno. Anche stavolta tutto è andato bene. Sul carro adesso è pura allegria, ci si abbandona alla baldoria.
DOMENICO LATINO (Gazzetta del Sud)