Sab. Lug 27th, 2024

Lit. Martedì – II TQ B

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Dal Vangelo secondo MatteoMt 23,1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Parola del Signore

Il commento al Vangelo, a cura di monsignor Piero Romeo, vicario generale della diocesi di Locri Gerace:

Richiamata la nostra attenzione sulle figure di scribi e farisei, siamo invitati oggi a riflettere sul nostro modo di seguire e annunciare il Vangelo. Troppo spesso rischiamo infatti di confondere la fede con la religione, esattamente come gli scribi e i farisei che, osservando la Legge in maniera impeccabile senza tuttavia entrare mai in relazione con Dio, diventano simbolo di una fede esteriore che si traduce in riti, prescrizioni e vuota predicazione moralistica che ha come fine l’esaltazione personale. Gesù non condanna i comandamenti di Mosè, anzi richiama l’attenzione su di essi, invitando a osservarli consapevoli della profonda saggezza che vi si nasconde dietro. Ma osservare i comandamenti diventa un modo per amare, servire e dare gloria a Dio, per costruire una relazione con l’alto. La prospettiva quindi si ribalta: i comandamenti non sono più rigide norme imposte da un Dio esigente che gravano come pesanti fardelli sulle spalle della genti, ma possono essere letti come un vero e proprio atto di amore di Dio per gli uomini perché, nel dare gloria a Dio e servirlo, noi stessi siamo glorificati. Vivere i comandamenti in questo modo significa sforzarsi di diventare sempre più simili a Dio. Ed è questo l’unico modo per sperimentare e testimoniare la gioia vera. Se questo vale nel nostro rapporto
con Dio, vale anche nel rapporto con i fratelli: annunciare il Vangelo diventa quindi un modo per amare Dio e amare i fratelli, mostrando la via della vera gioia e della salvezza. Nel momento in cui ci troviamo a dare testimonianza a un fratello, facciamolo non per dare gloria a noi stessi, esibendo bravura e moralità, ma per glorificare Dio. Perché non dobbiamo parlare noi di Dio, ma possa Dio parlare in noi. Che possiamo umiliarci perché possano innalzarsi Colui che annunciamo e il fratello a cui lo annunciamo; che possiamo essere strumento per la gloria di Dio e non Dio strumento per la nostra gloria.

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