Sab. Lug 27th, 2024

“Navigando tra una pagina e l’altra di Facebook ho visto qualcosa di incredibile. In una famiglia calabrese si è visto bene di festeggiare un compleanno tagliando una torta con su disegnata la faccia di Totò Riina. Anche se è stato fatto in modo goliardico, c’è un confine chiaro, netto che non andrebbe oltrepassato neanche per scherzo”. Lo scrive sui suoi profili social il testimone di giustizia Pino Masciari, da anni costretto a vivere in una località protetta. “Evocare anche solo il ricordo di un personaggio che ha fatto scorrere fiumi di sangue, che si è macchiato dei più orridi delitti, – commenta Masciari – è raccapricciante”.

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È chiaro che ognuno è comunque libero di fare ciò che vuole, ma è innegabile che la cultura della legalità passa anche attraverso scelte concrete che in alcun modo e per nessuna ragione possono strizzare l’occhio, anche solo per scherzo, a delinquenti di tale portata”. Inoltre, secondo Masciari, “nel momento in cui si mostra il proprio privato, condividendolo con chiunque su un social network, quella che si pensa sia solo una foto di famiglia assume una valenza e un significato di ben altra portata, difficile da controllare e che si può prestare ad interpretazioni e valutazioni di ogni genere, anche da parte delle forze dell’ordine”.

“Un cancro da tempo”

“L’allarme lanciato dal direttore dell’anticrimine della Polizia di Stato, Francesco Messina, dopo l’ultima operazione compiuta ai danni delle cosche del Vibonese, è sconfortante per diversi motivi. Dal quadro che emerge è chiaro che nessun imprenditore è libero dalle vessazioni del racket. La consistente attività estorsiva” – continua citando gli atti dell’operazione Olimpo – insieme alle facilitazione che le cosche trovano nell’attiva e consapevole collaborazione di pubblici funzionari, è un cancro che esisteva già ai tempi delle mie denunce, con le quali ho permesso di portare alla luce proprio questo sistema, allora per lo più sconosciuto.

“La coscienza dormiente”

“Ma – prosegue Masciari – se a distanza di trent’anni non solo il meccanismo e i protagonisti sono rimasti immutati, ma nessuno denuncia, è chiaro che qualcosa non funziona. Non funziona purché c’è la coscienza dormiente di chi piuttosto che ribellarsi subisce in silenzio, è connivente ad un sistema o addirittura lo nega. Non funziona perché – sostiene – la modalità di riappropriazione del territorio ad opera dello Stato, se basata sulla sola azione dei magistrati e forze dell’ordine, diventa una goccia in mezzo al mare.

Per guadagnare davvero terreno serve un moto di ribellione da parte di tutti: denunciare non può essere l’evento straordinario, deve essere la normalità! Allora sì non sarebbe più necessario che il singolo imprenditore che si oppone alla ‘ndrangheta debba essere “deportato” in località protetta, perché – conclude Pino Masciari – se tutti denunciassero la Calabria diventerebbe inospitale non per gli onesti, ma per i criminali!“.

calabria 7

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