Dom. Lug 28th, 2024

“La riapertura del dibattito politico sul tema dello scioglimento delle amministrazioni comunali per infiltrazioni mafiose mi dà l’occasione per riproporre alcune considerazioni che avevo esternato alcuni mesi fa, all’indomani del commissariamento di importanti comuni calabresi. Vicende che non ho mai giudicato nel merito, ma che in generale dimostrano come, dopo aver colpito la parte politica, non ci sia un intervento efficace all’interno dei gangli della burocrazia, in cui spesso si annidano le ingerenze della criminalità e del malaffare”. Lo sostiene, in una nota, la deputata di Fratelli d’Italia Wanda Ferro. “Le esperienze degli anni passati, e il ripetuto commissariamento di diversi Comuni – aggiunge – hanno dimostrato che non basta mandare a casa sindaci e consiglieri comunali se poi si lasciano le mani libere a funzionari collusi che hanno persino maggiori possibilità di favorire la realizzazione degli interessi criminali. Il commissariamento dei comuni ha certamente frenato, di volta in volta, il soddisfacimento di appetiti criminali, ma nel suo complesso non ha indebolito le cosche egemoni nei territori e soprattutto non ha reso le amministrazioni impermeabili alle infiltrazioni. A 27 anni di distanza dall’entrata in vigore della norma sullo scioglimento dei comuni, è giusto interrogarsi se oggi questo strumento sia attuale ed efficace o se va migliorato, considerato che il suo prezzo è quello della sospensione della rappresentanza e del controllo democratico dei cittadini sulla gestione della cosa pubblica, oltre che quello di aggravare la situazione gestionale degli enti. Innanzitutto occorre riflettere sulla natura del provvedimento di scioglimento, che secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale si è evoluto dal suo carattere sanzionatorio a quello preventivo. Ciò incide sul tema del controllo di legittimità di un atto amministrativo che, seppure innescato dalla rigorosa attività di indagine della magistratura e delle forze dell’ordine, rischia nella sua fase decisionale di essere condizionato da interessi di natura politica, ma rileva anche sulla questione della collegialità della responsabilità e delle sanzioni. Sanzioni che probabilmente dovrebbero avere carattere maggiormente personale, e rispetto alle quali bisognerebbe estendere la possibilità di effettiva difesa, con garanzia di terzietà dell’autorità giudicante, seppur contemperata con l’esigenza di rapidità dell’intervento, che non è evidentemente compatibile con i tempi della giustizia. Certo non è semplice bilanciare l’esigenza di tutelare diritti politici costituzionalmente garantiti e quella di contrastare gli interessi criminali, ed è chiaro che le misure più efficaci sui temi della legalità e della sicurezza sono quelle che hanno l’effetto di comprimere diritti. Ma uno Stato credibile non può dare l’idea di adottare, di fronte al rischio di condizionamento di un’amministrazione, la soluzione sbrigativa di mandare tutti a casa e poi si vedrà, senza accompagnare l’ente, ma è giusto dire l’intera comunità, in un processo di emancipazione e di liberazione dalla cappa mafiosa. Al cittadino deve essere assicurata la possibilità di rapportarsi alle istituzioni, e quella del municipio è la prima porta alla quale si bussa per proporre istanze e chiedere la soluzione di problemi che incidono sulla vita quotidiana. Solo così ciascuno il cittadino può sentirsi parte attiva e significativa di una comunità. In tal senso sono condivisibili le considerazioni del procuratore Gratteri, secondo cui i commissari prefettizi devono avere più ampi poteri di programmazione e gestione, e soprattutto devono potersi dedicare a tempo pieno all’attività amministrativa: il cittadino non deve avere l’idea che un comune commissariato sia un comune chiuso per inventario. Ma soprattutto occorre prevedere la possibilità di intervenire sull’apparato burocratico per rendere effettiva l’esigenza di prevenzione”. “Tutto ciò è indispensabile, ma non è da solo sufficiente – dice ancora Wanda Ferro – ad un’efficace politica di contrasto alla pervasività della criminalità organizzata. Il vero problema è quello del funzionamento della democrazia in molte realtà e la questione investe le responsabilità della politica e dei partiti, che devono andare ben oltre le valutazioni degli aspetti di rilevanza penale”.

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